In queste righe il dirigente scolastico parla ai suoi studenti e alle sue studentesse, ma allo stesso tempo si rivolge a tutti coloro che vivono questo tempo di incertezza e smarrimento. Parla all'umanità che rischia di smarrirsi nella selva oscura.
Vi metto qui due testoni (testi di spessore) presi da alcuni giornali del 25.02.2020 perché quando li ho letti a Davide (che li ha come compiti di scuola inviati dal sito della sua scuola) mi hanno dato spunti per LEGGERE DENTRO alla storia di questi nostri giorni.
Spero li vogliate leggere e mi lasciate un commento qui sotto 🔽
Niente cibo per la mente: la surreale semi quarantena di Milano
Rivoglio la mia Milano. Senza cinema, teatri, musei e scuole l’esistenza si riduce al sostentamento del corpo. Anche l’incontrarsi viene depauperato: mica si può solo mangiare, acquistare o parlare di cibo
Alle 19,40 di domenica l’Esselunga di Porta Garibaldi a Milano sembrava la stazione Centrale in un’ora di punta. Le 30 casse aperte facevano fatica a smaltire le file dei carrelli stracolmi. Vuoti erano gli scaffali di carne, pasta, farina, uova, verdura, surgelati, per non parlare dei disinfettanti e dell’Amuchina. Piangente era anche il settore carta igienica, significativo emblema delle priorità degli acquisti.
Sull’onda della paura di un coronavirus che in pochi giorni ha portato l’Italia al terzo posto fra le nazioni con più contagiati, i milanesi si sono affollati a comprare il comprabile, neanche fosse stata annunciata una guerra o una carestia. Come se fossero sotto assedio si sono comportati il giorno dopo, quando hanno lasciato deserte stazioni ferroviarie e mezzi pubblici. La metropoli emblema dell’efficientismo italiano si è così scoperta fragile e vulnerabile, soprattutto ben disposta ad autorecludersi tant’è che in questi giorni Milano non sembra più Milano, ma una città chiusa in casa e disertata, non spettrale ma scansata.
Cinema chiusi (- 44% di incassi in una settimana), così come teatri, sale da concerto, musei, chiese, palestre, stadi, biblioteche, scuole, università, asili. Chiusi molti uffici.
Terminata in tono minore la settimana della moda che ha visto Giorgio Armani e Laura Biagiotti fare le sfilate senza pubblico. Chiusi i bar e i locali di ritrovo dalle 18 in poi, come se il rischio di contagio sia più pericoloso nell’ora dell’aperitivo piuttosto che durante cappuccino e brioche che, comunque, i milanesi hanno evitato in massa. I ristoranti invece possono tenere aperto perché, dicono, la distanza fra i tavoli darebbe una maggiore protezione, ma molti si stanno attrezzando per ridurre al minimo la vita di relazione.
C’è qualcosa di surreale in questa semi quarantena da zona gialla, dove si può uscire ma non vedere un film o una mostra, dove è ritenuto più rischioso andare a una conferenza che in un supermercato affollato, dove le scuole sono chiuse ma i negozi no, quasi che il diritto all’acquisto sia il limite da non valicare per non demoralizzare l’economia fino in fondo, dare una parvenza di normalità e mantenere i servizi essenziali. Vivere al minimo. In questo momento è necessario, ma svelante.
In nemmeno 24 ore è apparso evidente che è il cibo per la mente a fare di una metropoli un luogo attraente. Si possono tappezzare le vie di bar, ristoranti, negozi, ma se mancano i luoghi dove nutrire l’immaginario immediatamente manca il carburante della vita.
Senza cinema, teatri, musei e scuole l’esistenza si riduce a un sostentamento del corpo. A quel punto anche l’incontrarsi viene depauperato perché mica si può solo mangiare, acquistare o parlare di cibo. Si perde poi uno degli aspetti più affascinanti del vivere in città che è il poter decidere anche all’ultimo momento cosa fare, dove andare, che cosa vedere, chi incontrare, ovvero quel senso di possibilità infinite.
Si perdono occasioni. Lunedì sera al teatro alla Scala era previsto un attesissimo concerto di Maurizio Pollini, i biglietti esauriti da tempo. Cancellato, come ogni evento aperto al pubblico fino al primo Marzo. Certo, uno si può consolare ascoltando un disco a casa, ma sappiamo tutti che non è la stessa cosa perché è il rito dell’ascolto diretto a dare l’emozione primaria. Per contro, l’orchestra della Filarmonica lunedì pomeriggio si è spostata con un treno dell’alta velocità verso Roma, dove la sera ha tenuto un concerto, e per ora le prove d’orchestra non sono sospese, ma non è detto che possa accadere.
Si naviga a vista e alla giornata, si cambiano programmi, si spostano uscite, come quella del film di Giorgio Diritti su Ligabue «Volevo nascondermi» che, saltato il debutto a Milano e nel nord Italia, è stato spostato anche nel resto del Paese, come in un gioco del domino che mostra quanto siamo collegati, quanto siamo comunità e collettività, quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Non pochi sono gli effetti sull’economia, che poi significa volumi di affari per le aziende (la Borsa milanese ieri ha perso il 5,4%), ma anche compensi per i lavoratori che non sono tutti uguali, purtroppo. Prendendo un caffè in un bar ho sentito un cliente dire alla barista: «Ieri ero a un McDonald e hanno telefonato a tutti per dire di stare a casa oggi perché avrebbero chiuso». La barista: «Ma li pagano lo stesso?». Il cliente: «Mi sa di no perché sono a giornata». Lei: «Anche a noi converrebbe chiudere perché lavoriamo soprattutto con gli aperitivi, ma se dobbiamo tirare giù la saracinesca alle 18 andiamo in perdita».
Un’altra barista ha confessato che preferirebbe si chiudesse tutto «Perché – ha detto – che ne so io se un cliente è positivo o no? E se mi ammalo e infetto a mia volta qualcuno? Dicono che muoiono soprattutto i vecchi, ma io ai miei ci tengo anche se hanno la loro età».
La grande Milano sta facendo i conti con un nemico invisibile che ha mostrato come tutto è partito da un ospedale e che i più esposti sono medici e infermieri, la qual cosa dovrebbe far riflettere sui protocolli di protezione del personale.
L’emergenza passerà, prima o poi, ma intanto sarebbe bene far tesoro di quanto detto dal dottor Vittorio Agnoletto a Radio Popolare sulle ragioni di questo contagio così diffuso in Italia: «Da un lato non si è riusciti a individuare il “paziente zero” e quindi a intervenire sulla catena di trasmissione. L’altro aspetto è che la metà dei primi quindici casi coinvolgono pazienti ricoverati e personale medico delle strutture del Basso Lodigiano. Il vulnus italiano non è tanto nell’organizzazione generale, bensì nelle indicazioni per gli operatori sanitari nei pronto soccorsi. La struttura sanitaria italiana è ridotta ai minimi termini per quanto riguarda gli interventi di primo livello: servizi territoriali e meccanismi di prevenzione soffrono di carenza di personale. La falla è individuabile lì». Adesso sappiamo quanto tutto ciò può costare.
Finito il pezzo scendo a prendermi un caffè. Accidenti, è tutto chiuso. Rivoglio la mia Milano.
Corriere della Sera, 25 febbraio 2020
Luigi Ripamonti
L’epidemia del nuovo coronavirus sta mettendo alla prova il Paese su tutti i fronti: quello sanitario, quello politico, quello economico e quello individuale. I primi tre sono appannaggio dei rispettivi responsabili, il quarto di tutti noi. Le autorità in Italia, a differenza che altrove, hanno scelto la trasparenza, e questa è un’ottima premessa.
L’appello che la situazione rivolge a ciascun cittadino è proprio di essere responsabile, di tenere ben saldo il principio che se non siamo monadi come Paese in un mondo globalizzato non lo siamo nemmeno come persone in ciascuna delle comunità a cui apparteniamo, da quella nazionale fino a scendere a quelle via via più locali
L’epidemia del nuovo coronavirus sta mettendo alla prova il Paese su tutti i fronti: quello sanitario, quello politico, quello economico e quello individuale. I primi tre sono appannaggio dei rispettivi responsabili, il quarto di tutti noi. Le autorità in Italia, a differenza che altrove, hanno scelto la trasparenza, e questa è un’ottima premessa. L’appello che la situazione rivolge a ciascun cittadino è proprio di essere responsabile, di tenere ben saldo il principio che se non siamo monadi come Paese in un mondo globalizzato non lo siamo nemmeno come persone in ciascuna delle comunità a cui apparteniamo, da quella nazionale fino a scendere a quelle via via più locali.
Le misure adottate dalle autorità hanno lo scopo di ridurre la diffusione del contagio e devono rassicurarci, non gettarci nel panico. Essere cittadini responsabili si traduce nel rispettare le indicazioni, non nell’abbandonarci a una folle corsa, per esempio, all’accaparramento di beni di prima necessità svuotando gli scaffali dei supermercati. I generi acquistati in eccesso non soltanto saranno poi indisponibili per chi, più debole, non avrà avuto la possibilità di partecipare alla corsa, ma ricadranno in diversa misura sulla filiera economica e contribuiranno ad amplificare l’ondata di irrazionalità.
Ogni scaffale vuoto è un allarme sociale in sé e per sé. Non si tratta di sottovalutare la situazione ma di affrontarla e viverla facendo appello alla propria maturità personale e politica, nel senso etimologico di appartenenza alla polis, alla città.
Il nostro cervello ha una parte emotiva, quella cosiddetta limbica, che reagisce alle minacce in modo immediato e una invece razionale, situata nella corteccia frontale, che esercita, fra l’altro, un controllo sulla prima. Questa porzione del nostro sistema nervoso centrale è stata definita l’organo della civilizzazione. È il momento di fare appello a questa parte di noi che ci immunizza dall’agire sotto l’impulso del puro istinto e che ci ha permesso di costruire sistemi sociali evoluti.
Epidemia significa, letteralmente, «sulla popolazione», investe e interpella quindi ognuno di noi. Nelle circostanze in cui ci troviamo il sistema sanitario è più che mai un organismo diffuso del quale siamo tutti parte attiva. È assolutamente necessario decodificare le nostre paure, pesarle e contenerle per evitare il contagio emotivo, quello che più di tutto rischia di far collassare il sistema.
Si tratta di una prova di maturità che non possiamo fallire. Non solo il mondo ci guarda, ma lo fa anche il nostro vicino di casa. Se andiamo a giocare a calcetto mentre dovremmo stare in casa isolati o se ci lasciamo andare ad atteggiamenti egoistici non saremo promossi a questo esame.
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ecco, forse non si intendeva questo! |
La situazione ha anche un lato economico. Se certamente chiudere le scuole contiene di molto la diffusione del virus, i bambini non lo portano a casa a mamme, papà e nonni (soprattutto, tutti abbiamo anziani che non vorremmo perdere). Le classi sono grandi incubatrici, essendo ambienti popolati e chiusi. I genitori non lo portano in ufficio, in metropolitana, meno macchine e movimento. Mezzi di trasporto meno affollati ma quindi anche meno biglietti pagati per un servizio che continua ad essere lo stesso. Biglietti ATM con i quali si paga il personale e gli altri servizi correlati. Meno gente nei bar e nei ristoranti, riusciranno a non fallire? Hanno comunque delle spese e devono mantenersi. Meno viaggi, meno turismo. Poi cosa vi viene ancora in mente? (Suggeritemelo nei commenti 🔽)
Sulla pagina fb di una mia collega ho trovato questo articolo che lei condivideva scrivendo così:
È davvero una bella riflessione. O forse la trovo bella perché corrisponde al mio cammino personale, dopo aver vissuto una serie di esperienze tutt'altro che semplici(un po' come accade nella vita di ognuno di noi).
Vi invito a leggere
ed ha ragione. Condivido in entrambe le cose
E se approfittassimo del coronavirus per capovolgere il mondo?
Riusciremo ad inventarci altre vie. Probabilmente sì.
Prima però credo dovremmo apprendere altro come suggerisce una mamma speciale con la sua bimba. Lo condivido nei modi (follia) e questo già lo sapete ma anche per le ricette.
Salve, eccoci qui dal centro operativo la Ruota Magica, ai microfoni abbiamo la Dottoressa Sofia, esperta di igiene, proprio per la sua grave insufficienza respiratoria, e mamma Rosa, esperta appunto di quarantena, dati appunto i frequenti periodi da dedicare a Sofia.
Siamo qui in questa veste un po’ folle, non per prendere in giro questa emergenza mondiale ma per essere di sostegno a tutte quelle persone che stanno vivendo questo coronavirus con un po’ di paura.
Quindi la nostra testimonianza è racchiusa in 8 piccole regole:
prima regola: ESSERE CONSAPEVOLI DEL PROBLEMA MA NON PENSARCI TROPPO
seconda regola: USARE IL WEB SOLO PER MUSICA, VIDEO E SALUTI
terza regola: TRASFORMARE LE COCCOLE FISICHE, che non sono fattibili in questo periodo, IN PICCOLI BIGLIETTINI D’AMORE, per rileggerli magari poi tra qualche anno
quarta regola: SFRUTTARE PROPRIO QUESTO MOMENTO PER IMPARARE A DARE VALORE ALLE COSE, a cominciare da una semplice boccata d’aria
quinta regola: IL TEMPO DEVE ESSERE NOSTRO AMICO, quindi bisogna sfruttarlo al meglio e lasciare da parte le cose frivole
settima regola: USARE L’IMMAGINAZIONE E LA FOLLIA PER COMUNICARE, perché spesso questa forma anche di AUTOIRONIA È UNA MEDICINA PERFETTA
ottava regola (e mi raccomando a questa): SORRIDERE! VOCE DEL VERBO “NONOSTANTE TUTTO” perché l’unione fa la forza e quindi SE I SORRISI CI SONO POSSONO ESSERE CONDIVISI E RENDERE LA COSA PIÙ BELLA, nonostante tutto.
Bene. Con questo chiudiamo e restituiamo la linea. Da Dottoressa Sofia, mamma Rosa e da tutta la Ruota Magica. Bye bye
Questo non ve lo leggo perché potete sentirlo dalla sua voce. Guardatelo (attivando il link sotto allo screenshot) e poi mi direte cosa ne pensate.
Usate senza paura la sezione commenti 🔽
https://www.facebook.com/LaRuotaMagica/videos/246240813068561/UzpfSTE1NjU2NzI5MDA6MTAyMTUwNzgwMDE3NzQ1MzY/